Ieri all’Accademia dei Georgofili il progetto “I territori della Toscana e i loro prodotti” ha messo a fuoco la provincia di Pistoia. Calvelli (Slow Food Valdinievole): noi rappresentati da brigidino di Lamporecchio, cialda di Montecatini e fagiolo di Sorana. Cioni di Unicoop Firenze: nel 2017 acquisti da 80 imprese pistoiesi per 65 milioni di euro e nel 2018 avremo in Toscana 200 nuovi piccoli fornitori.
«Abbiamo scelto, in accordo con gli amministratori della Valdinievole, di presentare dei prodotti che non sono soltanto tipici, ma anche esclusivi della Valdinievole. Il primo è il fagiolo di Sorana, che è uno dei pochissimi fagioli che ha ottenuto un riconoscimento Igp. Gli altri sono prodotti dolciari che sono prodotti da artigiani della Valdinievole: il brigidino di Lamporecchio e la cialda di Montecatini».
A spiegarlo, Giuliano Calvetti, rappresentante del comitato dello Slow Food Valdinievole, durante l’appuntamento del 25 gennaio all’Accademia dei Georgofili di Firenze con il progetto “I territori della Toscana e i loro prodotti”, dedicato in questa occasione al territorio della provincia di Pistoia: dalla piana, alla montagna sino alla Valdinievole. Il progetto, promosso dai Georgofili e Anci Toscana con il patrocinio di Unicoop Firenze, mira a «diffondere oltre ai confini territoriali la conoscenza delle produzioni tipiche e delle varietà locali», nella convinzione della «potenzialità economica» e delle ricadute positive sul territorio di tale «operazione di diffusione della conoscenza dei prodotti “nascosti” e tradizionali».
Un’iniziativa che ha fra gli scopi principali, come ha detto il presidente dell’Accademia dei Georgofili Giampiero Maracchi, quello di favorire «l’incontro tra produzione e distribuzione», con riferimento in particolare alla gdo (la grande distribuzione organizzata). Concetto ribadito nella sua relazione da Franco Cioni, di Unicoop Firenze, che ha ricordato che nelle Coop in Toscana «il 23% del totale acquistato proviene da fornitori toscani per un valore complessivo di 454 milioni di euro» e ha fatto sapere che nell’area pistoiese, nel 2017, le vendite finali sono state pari a 231 milioni di euro, con «acquisti presso 80 imprese pistoiesi per 65 milioni di euro». Non solo, Cioni ha annunciato che Unicoop ha già «contrattualizzato» per il 2018 circa 200 nuovi piccoli fornitori in Toscana scelti per la propensione all’innovazione: «saranno suddivisi, a partire da ottobre, nei negozi in base alle aree enogastronomiche di pertinenza». «Non è un impegno banale – ha chiosato Cioni – perché sono stati necessari centinaia di incontri». Oltre agli impegni commerciali, Unicoop ha programmato numerosi eventi divulgativi «per far conoscere i vari territori anche nelle altre zone della Toscana» e sono previste pubblicazioni.
Intanto ieri è stato presentato da Fabio Voller dell’Agenzia regionale di sanità della Toscana, nella sua relazione “Prodotti e ricette nella Piramide Alimentare Toscana”, il libro ‘Cucina Toscana – ricette e salute’ (nelle librerie dal novembre del 2017), a cui si è arrivati dopo aver censito 4 mila ricette toscane e dopo un accurato lavoro di selezione e analisi dal punto di vista nutrizionale. «Per ogni ricetta – ha detto Voller – ci sono le note di salute», nell’ottica della nutraceutica, ovvero lo studio delle sostanze contenute nei prodotti alimentari che hanno valori benefici per la salute» su cui ha parlato Manuela Giovannetti, direttore del Centro Nutrafood dell’Università di Pisa. Come è emerso dalla slide di Voller dedicata alla piramide alimentare dei prodotti tipici di Pistoia, due dei tre prodotti tipici della Valdinievole presentati, vale a dire la cialda di Montecatini o il brigidino (ma anche il berlingozzo) di Lamporecchio, sono in cima alla piramide, al 6° livello, quello dei prodotti che è bene consumare con molta parsimonia. Mentre il fagiolo di Sorana è al 3° livello e può essere mangiato più frequentemente e in quantità maggiori, anche se non così tanto come alcuni cereali e verdure collocati al 1° livello. Cosa non sorprendente, per i primi due alimenti, visto che si tratta di dolci; uno dei pochi dolci a non stare in cima alla piramide, ma al 3° livello, è il castagnaccio, altro prodotto tipico del pistoiese.
Ma vediamo, in estrema sintesi, le schede illustrative dei tre prodotti tipici della Valdinievole presentati all’incontro di ieri presso i Georgofili, durante il quale la Valdinievole è stata rappresentata direttamente, oltre che da Giuliano Calvetti, da Marco Borgioli, sindaco del Comune di Chiesina Uzzanese, lì in veste di vice presidente della Società della Salute Valdinievole, e indirettamente dal consigliere regionale Marco Niccolai, intervenuto in sostituzione dell’assessore regionale all’agricoltura Marco Remaschi. Ricordiamo che si tratta di due Pat, cioè prodotti agroalimentari tradizionali inseriti nell’elenco ufficiale del Ministero delle politiche agricole, e di una Igp (Indicazione geografica protetta).
Il brigidino di Lamporecchio (Pat) è una cialda rotonda, del diametro di circa 7 cm, fine come un’ostia ed arricciata ai bordi. Ha colore giallo-arancione e consistenza molto friabile e croccante. Il sapore è quello della pasta frolla e dell’anice. Il prodotto deve la sua tradizionalità alla specifica combinazione degli ingredienti, alla particolarità del gusto e all’originale tecnica di produzione. La produzione iniziò a Lamporecchio nel periodo rinascimentale e da allora la ricetta si è tramandata di generazione in generazione dando vita a molte botteghe specializzate nel brigidino.
Le cialde di Montecatini (Pat) hanno una forma discoidale e una consistenza compatta ma friabile. Sono caratterizzate da un leggero color nocciola e da un forte odore di mandorla; il sapore è molto dolce, ricorda quello del wafer. Vengono impastati latte, tuorli d’uova e farina tipo “00”. Dall’impasto si forma due sfoglie su cui si dispone il ripieno di mandorle pugliesi e zucchero. Il tutto viene cotto in forno. Si consumano da sole o con il gelato. Sono nate negli anni Venti del ‘900 in seguito all’iniziativa di una famiglia di ebrei cecoslovacchi che allestirono un laboratorio di pasticceria in città. Come ha spiegato Calvetti, provenivano da Marienbad, uno dei tre centri termali più importanti in Europa all’epoca. Furono costretti dalle leggi razziali a vendere e fuggire dall’Italia. A rilevare il laboratorio fu un montecatinese, Bargilli, che rielaborò il biscotto originario, trasformandolo secondo la ricetta seguita tutt’oggi.
Il fagiolo di Sorana Igp è coltivato in un’area di circa 660 ettari lungo entrambi i versanti del torrente Pescia di Pontito per circa 4,5 km fra gli abitati di Stiappa, Castelvecchio e Sorana. I fagioli arrivarono dall’America insieme al mais e furono subito accettati. Era una coltura che richiedeva grande disponibilità d’acqua e si diffuse in Toscana nelle aree bonificate tra il ‘500 e il ‘600. Nella zona di Sorana il fagiolo era coltivato in fazzoletti di terra lungo il greto dei torrenti o fra i fossi e i poggi, protetti dalle piene delle acque da muretti e canalizzazioni. Il fagiolo bianco di Sorana si distingue per la buccia sottile, quasi inconsistente, che non si stacca durante la cottura. Questi fagioli hanno bisogno di essere messi a bagno per alcune ore in acqua di fonte, quindi si devono cuocere lentamente con poche foglie di salvia, uno spicchio di aglio e un po’ di olio extravergine d’oliva. Una loro caratteristica è l’estrema digeribilità.
Lorenzo Sandiford