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Stefano Petrassi, dottore in scienze naturali e vicepresidente dell'associazione "Amici del Padule di Fucecchio", interviene sulle politiche di tutela da attuare nell'area: le criticità del Padule non sono solo quelle segnalate dal sindaco Spinelli, ce ne sono altre di uguale importanza, come quella del deficit idrico. 

«Da circa un anno a questa parte alcuni sindaci, ai quali fa eco l’assessore regionale Fratoni, si sono “sintonizzati” su una definizione delle priorità del Padule di Fucecchio che contempla tre soli elementi: l’interramento, l’inquinamento e le specie aliene. Considerato che, a quanto ho letto dai loro profili, nessuno di essi effettua, per professione o diletto, ricerche in materia, ho dedotto che tale convinzione, più volte ribadita pubblicamente, sia avvalorata da fonti documentali tecniche. Così negli ultimi mesi, dedicando parte del mio tempo a documentarmi, ho scoperto che in realtà di criticità ce ne sono anche altre e, tra queste, alcune, di paragonabile importanza, come il deficit idrico per periodi prolungati; altre, sia pure di minore portata, risultano comunque molto urgenti e più semplici da affrontare (e chiuderò con un esempio).
Quel che è certo è che trattandosi di questioni molto specialistiche, le soluzioni, e ancora prima le priorità, devono essere definite da un confronto fra esperti di discipline naturalistiche e di ingegneria idraulica. Ma veniamo ai tre temi sollevati.
Per quel che riguarda l’inquinamento delle acque, del sedimento e delle matrici organiche esistono effettivamente varie fonti: in particolare Arpat che monitora costantemente molti parametri e l’Università di Siena che ha compiuto un’indagine molto approfondita sull’inquinamento da piombo di origine venatoria e da altri metalli pesanti. La cosa un po’ bizzarra è che in questo caso si tratta di una sorta di autocritica. Sarebbe bastato infatti applicare la legge vigente, che da tempo prescrive ai Comuni di dotarsi di impianti di depurazione atti a restituire acque a norma.
Anche per quanto riguarda le specie aliene la preoccupazione è del tutto fondata, come attestano numerosi studi promossi dalla Provincia di Pistoia e dal Centro di Ricerca, con il coinvolgimento dell’Università di Firenze. Purtroppo, da quanto ho avuto modo di apprendere, per la maggior parte delle specie più problematiche, come il gambero della Louisiana, il pesce gatto o il cyperus odoratus, non esistono tecniche efficaci di eradicazione o di controllo attuabili in ambienti vasti ed articolati come il Padule di Fucecchio (ma casomai su modeste porzioni di esso).
Pertanto in questo ambito, se si vuole essere concreti, tutta l’attenzione deve essere riposta nel cercare di prevenire l’ingresso di nuove specie, che non sarà più possibile contrastare una volta insediate. Come fare? E’ tutt’altro che semplice: esiste una lista di potenziali “invasori” e ad ognuno è associata una serie di misure preventive generali, ma un piano completo per il Padule va affidato a un team di esperti.
Quanto al fenomeno naturale dell’interramento, che riguarda tutti i bacini palustri e lacustri, nonostante accurate ricerche, non sono riuscito a trovare né studi dedicati, né attività di monitoraggio relative all’area in esame. Ho visionato vari lavori effettuati per conto del Consorzio di Bonifica da vari autori (Righetti e Cornieri, Chetoni, Settesoldi ecc.), ed anche alcune tesi universitarie, ma nessuno di essi affronta direttamente e quantifica questo fenomeno.
Naturalmente occorrerebbe fare tutto il possibile per contenere l’apporto di sedimento - il che implica prendersi cura del territorio a monte - ma è probabile che il destino naturale del Padule si compia in tempi assai più lunghi di quelli temuti.
Per chiudere mi limito a fare un esempio di un’altra priorità, dato che si tratta di un’azione di cui ho esperienza diretta in qualità di volontario. Il Centro di ricerca e documentazione custodisce in coltivazione alcune piante acquatiche che purtroppo da molti anni non sono più presenti in natura nel Padule di Fucecchio e dintorni. Tale attività (definita tecnicamente conservazione ex situ) è stata intrapresa una quindicina di anni fa grazie al contributo di alcuni enti, come la Provincia di Pistoia, la Fondazione Caript e il supporto di prestigiosi soggetti di ricerca come l’Istituto superiore S.Anna di Pisa. Oggi il Centro di ricerca continua con cura a conservare questo patrimonio genetico, unico e irripetibile, senza alcun contributo specifico e nella situazione di incertezza a tutti nota».
 
Redazione

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