Incontro con l’artista Mimmo Paladino e intervista a Sergio Risaliti, uno degli ideatori e curatori del progetto espositivo al centro di Florens 2012, la seconda edizione della Biennale Internazionale dei Beni culturali e Ambientali di Firenze, in programma da oggi all’11 novembre.
«Semplicità di azione, che è quella di lavorare con questo segno semplice che è la croce e poi pensare a tutto quello che può implicare: dai marmi, che sono il patrimonio che nei secoli ha costruito Firenze, fino alle simbologie geometriche». Così Mimmo Paladino, interrogato al volo stamani durante gli ultimi preparativi prima dell’inaugurazione della monumentale croce che ha realizzato per Florens 2012, spiega il modo in cui ha cercato di mettersi in dialogo con la facciata della basilica e la piazza di S. Croce in questa opera site specific che si riallaccia in certa misura «alla montagna di sale (installata a Napoli a metà degli anni ’90 e poi più di recente a Milano, ndr), come esperienza di un grande lavoro che poi non esiste più, perché svanisce come svanirà questo». «I segni della facciata – aggiunge l’artista - li ritroviamo abbastanza nel grande lavoro circolare, nella stella, nel Dante che guarda il Dante, e poi ci sono i miei segni: queste scarpette con gli uccelli; e soprattutto c’è il senso anche geometrico del luogo, che ha un suo asse che slitta rispetto alla piazza (parlo della facciata della basilica). E ancora tutto quello che c’è là dentro: cultura spirituale e umanistica».
Ma, come è noto, il progetto espositivo al centro della seconda edizione della Biennale Internazionale dei Beni culturali e Ambientali di Firenze, che ha per filo conduttore “Cultura, qualità della vita” e si svolge nel capoluogo toscano da oggi all’11 novembre, non comprende solo la grande croce di Paladino adagiata in piazza S. Croce davanti alla basilica, avendo anzi il proprio cuore nel “Mysterium Crucis”, l’ostensione dei crocifissi di Brunelleschi, Donatello e Michelangelo nel Battistero di San Giovanni davanti al Duomo, a cui fa da cassa di risonanza simbolica tutto intorno, all’esterno, “Il giardino degli ulivi” ispirato all’Orto del Getsemani (dove Gesù si ritirò a pregare dopo l’ultima cena): una installazione di 72 esemplari di ulivi secolari, disposti a scacchiera in accordo con le linee del Battistero, che sono stati forniti a Firenze dall’Associazione vivaisti pistoiesi.
Al curatore e critico d’arte Sergio Risaliti, a cui si deve l’ideazione e la cura dei tre eventi espositivi in collaborazione con fra gli altri Francesco Vossilla e Pino Brugellis, abbiamo chiesto di illustrarci meglio il significato degli allestimenti di questa edizione di Florens.
Come è nato questo progetto espositivo? Qual è l’idea centrale?
«E’ un percorso iniziato due anni fa con Florens, con il riposizionamento della copia del David nei luoghi dell’originale committenza: sugli sproni del Duomo, sul sagrato sempre della Cattedrale e poi con la rievocazione del famoso trasporto del 1504, quando l’originale del David fu portato dal Duomo in piazza della Signoria. Quella rievocazione è stata un momento importante per la città perché abbiamo sperimentato un nuovo modello anche di manifestazione in cui associare il carattere spettacolare, performativo, a quello più didattico. Ovviamente dietro a queste operazioni c’è sempre anche una ricerca storica molto approfondita, un’indagine scientifica volta a far riscoprire i capolavori del patrimonio fiorentino con le storie annesse e connesse…»
ecco, il significato degli allestimenti di quest’anno?
«Anche in questa occasione cercavamo di legare il patrimonio alla contemporaneità e alla riscoperta stessa del patrimonio attraverso situazioni più performative, che possono essere di tipo intellettuale, allestitivo o artistico, come nel caso di Mimmo Paladino. Tutto è collegato al simbolo della croce, all’immagine del crocifisso: a partire dai tre crocifissi appunto di Donatello, Brunelleschi e Michelangelo in Battistero; agli olivi, che alludono come mi ha suggerito a suo tempo Riccardo Sandiford (fratello di colui che scrive, ndr) al Getsemani; alla croce in piazza Santa Croce di Mimmo Paladino. Credo che sia un progetto molto articolato, complesso, straordinario, penso, per la città, dove si mettono in collegamento due livelli anche distanti, ma solo apparentemente, quello antropologico e quello teologico: il mondo della cultura materiale, vedi il marmo vedi gli ulivi, e quello della cultura e dell’espressione poetico-artistica più alta della civiltà occidentale con i tre grandi geni del Rinascimento e con il grande maestro Mimmo Paladino».
Per chiudere, dunque, qualche parola sull’opera di Paladino…
«La croce di Mimmo Paladino è un’opera innanzi tutto realizzata, pensata, concepita per Firenze, un’opera inedita. Che si è fatta addirittura in piazza con un’ispirazione che montava di giorno in giorno anche rispetto al contesto che si veniva a creare. Tutta progettata a monte, a tavolino, in rapporto alla facciata, al simbolo del crocifisso e della croce e potremmo dire quasi che compone il gesto di un bambino che accosta fra di loro dei sassi a quello di un ciclope. La croce in piazza come un labirinto è percepibile solo dall’alto: ci si entra dentro, si cammina dentro a questo corpo frammentato, corpo di Cristo, che allude alla corporeità del Dio incarnato. Ci si cammina dentro alla ricerca di un’esperienza misteriosa e di rivelazione con sé stesso e con il mistero della fede, con il simbolo e le immagini più archetipiche e più profonde che l’artista ha collocato in questi grandi macigni di marmo».
Lorenzo Sandiford